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Immobili a Milano, quanto valgono e come cambia il mercato post pandemia 

Quanto valgono gli immobili a Milano e cosa è cambiato negli ultimi mesi, complice anche l’effetto dell’emergenza sanitaria? Fa luce su questa tendenza “Rilevazione dei prezzi degli Immobili della Città Metropolitana di Milano” sul secondo semestre 2021, realizzata dalla Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi, attraverso una Commissione di rilevazione composta dalle principali Associazioni di Categoria ed Ordini Professionali del settore: FIMAA Milano Lodi Monza e Brianza (Confcommercio Milano), Assimpredil ANCE, FIAIP Milano, ANAMA Milano (Confesercenti) ed ISIVI (Valutatori Immobiliari).

Il valore al metro quadro

In media valgono 5.898 euro al mq gli immobili nuovi a Milano al secondo semestre 2021 e crescono di 1,1% rispetto a 5.836 euro al mq, valore del primo semestre. Era di 5.210 il dato pre Covid a fine 2019, con una crescita del 13,2% del prezzo medio degli immobili nuovi milanesi in due anni. In particolare, a fine 2021, in centro i prezzi medi sono di 10.367 euro al mq, nel settore nord di 4.548 euro al mq, nel settore est di 4.932 euro al mq, nel settore sud di 4.283 euro al mq, nel settore ovest di 5.361 euro al mq. Le zone con i prezzi più elevati sono ovviamente quelle centrali, con al primo posto Spiga – Montenapoleone,€/m² 12.950 al secondo semestre 2021, rispetto a 12.950 al primo semestre 2021, poi Vittorio Emanuele – S.Babila con 12.450 rispetto a 12.425, +0,2%, Diaz – Duomo Scala con 11.950 rispetto a 11.875, +, 0,6%.

Un momento di incertezza

“Da inizio anno, rispetto al quadro di fine 2021 delineato dalle precedenti rilevazioni, stiamo verificando un rallentamento del numero delle trattative insieme ad una emergente incertezza, spesso legata alla finanziabilità delle operazioni, conseguenza della difficile situazione internazionale e alla lievitazione di costi. Inoltre, la guerra in atto ha già impattato con la perdita di clienti, russi ed ucraini, che hanno un peso significativo per il nostro territorio” commenta Beatrice Zanolini, consigliere Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi e segretario FIMAA Milano, Lodi, Monza e Brianza. “Tra le conseguenze future, in uno scenario di smart living, l’impatto che lo smart working continua ad avere sul territorio si traduce non solo in nuovi modi di vivere la propria abitazione ma anche in un modo diverso di fruire di spazi esterni, servizi, trasporti, attività commerciali. Determina nuove abitudini e nuove esigenze, condiziona tutti i settori in modo trasversale. I dati del Comune di Milano dimostrano che lo smart working ha impattato sulle attività, sui trasporti e sui servizi. Con la fine auspicata dell’emergenza sanitaria ci saranno aziende che riporteranno i lavoratori in presenza ma anche altre che opteranno per l’attività mista, o totalmente in smart working: lo scenario è aperto ed offre molti motivi di riflessione che necessitano di risposte differenziate secondo le situazioni ed i contesti. Il Comune si sta anche adoperando per valutare come poter incentivare il miglior uso degli spazi aziendali che restano vuoti proprio per via del lavoro da remoto, per evitare la desertificazione di alcune zone dove le attività vivono soprattutto grazie all’indotto che queste aziende portano. A due anni dal primo lockdown la nostra Camera di Commercio vuole approfondire il tema anche dal punto di vista immobiliare, attraverso l’analisi dei prezzi rilevati e delle tipologie di richieste, mappando il trend delle scelte dei contesti che sono spesso condizionate proprio dalla necessità o dalla opportunità di lavorare in buona parte dalla propria abitazione”.

Il 71% dei dipendenti preferisce lavorare da qualsiasi luogo piuttosto che una promozione 

Cosa è importante per i lavoratori oggi e cosa lo sarà domani? Quali sono i cambiamenti in atto? E come potranno rispondere le aziende a questi nuovi bisogni? Per rispondere a questi quesiti arriva un nuovo report, presentato da Ivanti. Il sondaggio annuale Everywhere Workplace ha infatti coinvolto esperti globali sul tema “Il futuro del lavoro”, intervistando oltre 6.100 impiegati e professionisti IT per rilevare le valutazioni dei dipendenti sui mesi passati, sul presente e sul futuro del lavoro. Il report ha svelato come le priorità dei dipendenti stiano continuando a cambiare con il 71% degli intervistati che preferirebbe lavorare da qualsiasi luogo piuttosto che ricevere una promozione. Nonostante la crescente diffusione del lavoro da remoto, il 10% degli intervistati riscontra un effetto negativo sul proprio stato di salute. Sono soprattutto le donne a soffrirne maggiormente: il 70% delle lavoratrici nell’IT ha segnalato di aver riscontrato effetti negativi, a livello psicologico, legati al lavoro da remoto, contro il 30% degli uomini, appartenenti allo stesso settore. In aggiunta, molti dipendenti avvertono la perdita di contatto interpersonale con i propri colleghi (9%), aggiungendo di lavorare più ore rispetto a quando erano in ufficio (6%). Il report ha anche mostrato un ulteriore divario di genere: il 56% delle donne intervistate ha affermato come il lavoro da remoto abbia influenzato negativamente la loro salute mentale, rispetto al 44% degli uomini. 

Quali saranno i nuovi modelli

Per quanto concerne i possibili modelli di lavoro futuri, la ricerca segnala che il 42% dei dipendenti preferisce modalità di lavoro ibride (+5% dall’ultimo studio). Il 30% dei medesimi opta invece per lavorare da casa in modo permanente (-20% dall’ultimo studio), dimostrando la volontà di interagire nuovamente con i propri colleghi. Nonostante i diversi benefici legati al lavoro da remoto, tra i quali il risparmio di tempo negli spostamenti (48%), un migliore equilibrio tra vita privata e professionale (43%) e un orario di lavoro più flessibile (43%), si sono verificati alcuni svantaggi. Infatti, il 49% degli intervistati afferma di essere stato influenzato negativamente dal lavoro a distanza a causa di una scarsa interazione con i colleghi (51%), della mancanza di collaborazione e comunicazione (28%), del rischio di rumore di fondo e di alcune distrazioni (27%).

Il ruolo dell’automazione

A fronte di ambienti di lavoro sempre più complessi, l’automazione assumerà un ruolo centrale. Di fatti, il 15% degli intervistati preferirebbe lavorare da qualsiasi luogo (+87% dall’ultima indagine). È interessante notare che il 22% degli intervistati è diventato un “nomade digitale”, il 18% sta valutando di diventarlo contro il 13% che vorrebbe lavorare permanentemente in ufficio (-11% dall’ultima indagine). 

Nel secondo semestre 2021 aumentano le minacce agli ICS

Nel corso della seconda metà del 2021, circa il 40% di tutti gli ICS, i sistemi di controllo industriale, è stato vittima almeno una volta di attacchi da parte di software malevoli. Nonostante il numero complessivo di attacchi sia leggermente diminuito rispetto al primo semestre 2021, nella seconda parte dell’anno il panorama delle minacce rivolte ai sistemi di controllo industriale è apparso molto diversificato. I miner usati per prendere di mira i computer ICS sono aumentati dello 0,5%, gli spyware dello 0,7%, e gli script dannosi sono cresciuti di 1,4 volte in più rispetto al tasso di crescita registrato nel 2020. Secondo il Kaspersky ICS CERT, la percentuale dei computer ICS sui quali sono stati bloccati elementi dannosi rispetto al 2020 è passata dal 38,6% al 39,6%. Tuttavia, nel secondo semestre del 2021 questo dato è sceso dell’1,4% per la prima volta in un anno e mezzo.

Bloccate più di 20.000 varianti di malware

Complessivamente, nella seconda metà del 2021, le soluzioni di sicurezza Kaspersky hanno bloccato più di 20.000 varianti di malware. Sebbene questo dato non sia cambiato di molto rispetto ai sei mesi precedenti, anno dopo anno gli script dannosi crescono costantemente. Nel secondo semestre 2021, la percentuale dei computer ICS attaccati da script è cresciuta di 1,4 volte rispetto all’inizio del 2020, registrando un +0,5% rispetto alla prima metà del 2021. I cybercriminali si servono degli script dannosi per raggiungere vari obiettivi, dalla raccolta dati al caricamento di altri malware, come spyware o miner di criptovalute.

Incremento di script dannosi, spyware e miner di criptovalute

I threat actor, oltre a utilizzare sempre più script dannosi, hanno incrementato anche l’uso di spyware e miner di criptovalute. Il primo viene utilizzato soprattutto per rubare credenziali o denaro alle vittime, e la percentuale di computer ICS attaccati con spyware è in aumento dell’1,4% dal primo semestre 2020. Lo spyware continua infatti a crescere ed è in aumento per il terzo semestre di fila, mentre la percentuale di computer ICS attaccati da miner è più che raddoppiata dal primo semestre del 2020.

“I sistemi di controllo industriale possiedono una serie di dati sensibili e sono i responsabili del funzionamento dei settori più importanti – commenta Kirill Kruglov, security expert di Kaspersky -. Un attacco a basso rischio rivolto a una struttura IT può trasformarsi in una minaccia significativa per la tecnologia operativa (OT)”.

È importante non sottovalutare i crypto miner

Se da un lato la tipologia di minacce rivolte ai computer ICS sono rimaste invariate, dall’altro lato si è assistito a un aumento costante della percentuale di computer ICS che affrontano script malevoli e pagine di phishing, insieme a Trojan, spyware e miner che verrebbero consegnati da script malevoli.

“I crypto miner vengono spesso sottovalutati, il che non è un bene – aggiunge Kruglov -: se la loro influenza sulle reti dell’ufficio può essere trascurata, a lungo andare potrebbero portare all’interruzione di un servizio per alcuni componenti del sistema di controllo automatizzato”.

Il 60% degli italiani si sente bersagliato dalle fake news

Il 66% degli italiani si dice preoccupato o molto preoccupato per la diffusione di fake news, e il 60% ritiene di esserne quotidianamente bersagliato. Il 62% pensa inoltre che nei prossimi tre anni la circolazione di notizie false sui media sia destinata ad aumentare. Queste percentuali, emerse da un’indagine di Readly, sono le più alte d’Europa. In media, negli altri paesi, solo il 39% dei cittadini si dice preoccupato per le fake news, e solo il 44% si sente quotidianamente esposto a esse. In Svezia ‘solo’ il 28% dichiara di sentirsi esposto quotidianamente alle notizie false.
Insomma, sono passati due anni dall’inizio della pandemia, ma la discussione sulla diffusione delle fake news continua a essere più che mai attuale. 

Poco propensi a pagare per accedere a un’informazione qualificata

Tuttavia, oggi, i cittadini italiani sono i meno propensi a pagare per accedere a contenuti di informazione qualificati. Lo fa, infatti, solo il 7%, a fronte di una media del 12% nei paesi europei. Quasi un italiano su quattro si dichiara però disposto ad acquistare contenuti di informazione a pagamento, mentre il 22% si ripromette di valutare la spesa in caso di aumento dell’esposizione alle fake news.
“La diffusione di notizie create ad arte è stata una questione sempre presente durante la pandemia, e sembra raggiungere nuovi picchi in periodi pre-elettorali o quando si inaspriscono i contrasti tra le potenze economiche – afferma Marie Sophie Von Bibra, Head of Growth per l’Italia di Readly -. La nostra indagine dimostra tuttavia che in generale siamo diventati sempre più consapevoli della responsabilità personale di verificare i contenuti che riceviamo e le fonti di informazione a cui ci affidiamo”. 

Meglio affidarsi a TV e quotidiani

Gli italiani preferiscono affidarsi ai media tradizionali per accedere a contenuti di informazione, soprattutto TV (28%), quotidiani e riviste (23%) e siti di informazione (19%). Soltanto il 5% degli italiani considera i social media attendibili per l’informazione.
Anche i social network iniziano però a prendere posizione contro le fake news: Twitter, ad esempio, ha dichiarato che bollerà come ‘contenuti fuorvianti’ i post che contengono informazioni false e notizie ingannevoli sulla pandemia.

“L’ importanza di accedere a notizie verificate da diverse prospettive”

La maggior parte degli italiani (57%) crede che i media abbiano un impatto nella propria vita. Il 36% crede che siano direttamente correlati con la crescita del proprio livello di conoscenza, il 31% che i media influiscano sull’apprendimento di questioni fondamentali, che altrimenti non verrebbero considerate, il 20% pensa che i media plasmino i propri valori politici, il 18% che influenzino passioni e interessi, e il 17% che influiscano sui propri valori.
“Ciò che leggiamo sui media ha un grande impatto in diversi ambiti della nostra vita quotidiana – sostiene Marie Sophie Von Bibra -. Un italiano su cinque afferma che il consumo dei media modella i propri valori politici: è quindi della massima importanza accedere a notizie verificate da diverse prospettive”. 

Cultura, società e imprese: quali sono i cambiamenti che ci aspettano nel 2022?

Come sono cambiate le aziende, e il loro approccio al lavoro, dopo due anni di pandemia? Impossibile pensare che tutto sia rimasto come prima: così, per dare delle indicazioni precise, arriva il rapporto annuale Fjord Trends di Accenture Interactive. Un rapporto che esplora i nuovi modelli operativi delle imprese, partendo dalle relazioni delle persone con il lavoro, il consumo, la tecnologia e il pianeta. Giunta alla 15esima edizione, l’analisi fornisce una guida pratica a quelle aziende che cercano di fornire valore e rilevanza ai loro clienti, dipendenti e alla società. I nuovi comportamenti identificati nel corso dell’analisi stimoleranno le aziende a ripensare il loro approccio al design, all’innovazione e alla crescita, come conseguenza dei cambiamenti nelle aspettative e nella mentalità dei dipendenti, della discontinuità nella catena logistica e dell’emergere di nuovi ambienti virtuali, come il metaverso.

I cinque trend in atto 

Il rapporto ha individuato in particolare cinque comportamenti umani e trend destinati a influenzare la società, la cultura e le imprese. In prima battuta, c’è una crescente voglia di essere se stessi: il senso di autonomia che le persone hanno nella loro vita, a distanza di due anni dall’insorgenza della pandemia, sta influenzando il modo in cui le stesse lavorano, si relazionano con gli altri e consumano. Le persone stanno mettendo in discussione ciò che sono e ciò che conta per loro. Il crescente individualismo sotteso ad una mentalità improntata al “prima io e poi noi” ha profonde implicazioni per le organizzazioni in relazione ai modi in cui queste guidano i loro dipendenti, formulano una nuova employee value proposition e gestiscono le relazioni azienda-cliente. In seconda battuta, cambia forse per sempre il senso di “abbondanza”: nell’ultimo anno, molti di noi sono stati testimoni e hanno avuto esperienza diretta di scaffali vuoti, bollette energetiche in aumento e carenze nei servizi quotidiani. Mentre la scarsità determinata dalle carenze logistiche potrebbe essere una sfida temporanea, il suo impatto persisterà e porterà a un cambiamento della nostra “idea di abbondanza” – basata su disponibilità, comodità e rapidità dei beni di consumo – e ad una maggiore coscienza ambientalista. Le imprese devono affrontare l’ansia da disponibilità che ha attanagliato molte persone in tutto il mondo.

Dal metaverso alla verità

I cambiamenti sono davvero profondi, a cominciare dalle nuove frontiere della tecnologia. Il metaverso è un’esplosione culturale che si prepara a manifestarsi da un momento all’altro. Sarà una nuova frontiera di internet su cui convergeranno tutti i livelli esistenti di informazioni, interfacce e spazi attraverso i quali le persone interagiscono. È un luogo in cui si potranno generare profitti, creare nuove opportunità lavorative e offrire infinite possibilità alle persone di contribuire alla costruzione o evoluzione dei brand. Il mettevano non esisterà solo attraverso schermi e cuffie ma includerà anche esperienze e luoghi del mondo reale in dialogo con il mondo digitale. Sempre in questa direzione, ed è il quarto trend individuato dalla ricerca, le persone si aspettano di avere risposte alle loro domande semplicemente premendo un pulsante o attraverso un breve scambio con un assistente vocale. Il fatto che sia così facile e immediato implica che le persone facciano più domande. Per i marchi, la serie di domande dei clienti e il numero di canali per porle sono in costante crescita. Come rispondere è una grande sfida di design, un fattore critico per l’instaurazione di un rapporto di fiducia e una futura fonte di vantaggio competitivo. Infine, resta alto il valore della cura: l’anno passato, l’assistenza agli altri e la cura di sé, hanno assunto un ruolo primario dal punto di vista dei servizi e dei canali per fornire assistenza, sia digitali che fisici. Tale responsabilità continuerà ad avere la priorità nelle nostre vite. Una tendenza che sta creando opportunità e sfide per i datori di lavoro e i brand, che devono ora stabilire come integrare l’assistenza nelle relazioni con i dipendenti, i clienti e la società in generale.

Le imprese italiane sono pronte ad assumere. Lo scenario 2022

Se nel 2021 il 75,6% delle aziende italiane ha ampliato l’organico, il 55% addirittura in misura maggiore rispetto a quanto pianificato, e il 20,6% ha inserito meno profili di quanto ipotizzato, secondo il bilancio di fine anno di InfoJobs il 15,6% ha mantenuto stabili i livelli occupazionali, il 6,1% ha dismesso i contratti atipici, e solo il 2,8% ha ridimensionato l’organico. Quanto ai dati relativi dell’Indagine sui trend mercato del lavoro 2022, lo scenario per InfoJobs si presenta con segnali di apertura e propensione all’incremento delle risorse in azienda. Il 50% delle imprese è infatti disposto ad assumere, sebbene in numero limitato, e il 31,1% è aperta a un numero elevato di assunzioni. C’è poi chi pensa di sostituire eventuali dimissionari (11,7%), e solo il 6,1% non prevede nuove assunzioni.

Come saranno le nuove assunzioni?

Per il 45,7% rimarranno gli stessi criteri e contratti del passato, ma c’è un 40,1% che nella scelta del tipo di risorse vede come prioritaria la qualità dei profili più che la quantità, e un 14,2%, che preferisce puntare all’assunzione di figure con contratti flessibili. Rispetto al problema della difficoltà di reperimento, l’88,7% dichiara di essere d’accordo.
In particolare, il 54,4% dichiara di non trovare persone in linea con esperienze e competenze richieste, o con la proposta dell’azienda, il 24,2% imputa le difficolta al cambiamento di atteggiamento verso il lavoro generato dalla pandemia, mentre per il 10,1% la causa è l’apertura di tante opportunità in settori affini che porta maggiore offerta per il candidato.

Fare i conti con il great resignation

All’opposto, c’è chi dichiara che con la ripresa del mercato sia tornata in auge anche la volontà delle persone di mettersi in gioco (9,4%), così come la perdita di posti di lavoro portata dalla pandemia (2%) abbia aumentato di fatto i profili ‘papabili’. L’attenzione ai propri desiderata e la predisposizione al benessere personale hanno portato nel panorama di ricerca e selezione del personale fenomeni più o meno transitori, anche per quanto riguarda l’argomento dimissioni.
Attualmente ha preso spazio il fenomeno delle dimissioni di massa, ormai noto come great resignation, tipico soprattutto all’interno delle grandi aziende, ma rilevato anche dalle Pmi.

Alla ricerca del work-life balance perfetto 

Analizzando i dati emersi dall’indagine, anche se per il 36,9% degli intervistati sembra essere rimasto invariato il numero di dimissioni rispetto agli anni precedenti, sono proprio i giovani che secondo il 31,2% hanno contribuito a registrare un incremento nel numero di dimissioni rispetto al passato, poiché motivati dalla ricerca di una posizione migliore e dalla rincorsa al perfetto work-life balance. Inoltre, i profondi mutamenti dei due anni appena trascorsi per il 24,1% hanno dato maggiore coraggio di cambiare lavoro per rincorrere il sogno professionale, o per cercare un’azienda più affine ai propri valori. 

Tendenze di consumo, ecco i trend del 2022

Come sono cambiati i nostri comportamenti e in quali ambiti dopo la pandemia che ha travolto il mondo? Risponde a questi quesiti il report Top 10 Global Consumer Trends 2022, annuale appuntamento di Euromonitor International finalizzato a scoprire come è mutata e come cambierà nel prossimo futuro la società. Innanzitutto, dall’indagine emerge che tutti noi siamo incredibilmente duttili, e sappiamo adattarci ai cambiamenti in modo tutto sommato repentino. Ma è altrettanto vero che quello che è accaduto a livello planetario ha portato in luce nuovi “modi” a cui difficilmente rinunceremmo, e le aziende non possono non tenerne conto. Ecco una breve rassegna di quelle che sono le 10 principali tendenze già in atto o che emergeranno ne corso dell’anno. 

Creativi, attenti al clima e sempre più digitali

Tra i principali trend emerge a sorpresa la creatività, anche negli acquisti: i consumatori hanno imparato a trovare soluzioni creative per acquistare i loro prodotti preferiti o per identificare le migliori opzioni, dato che la pandemia ha avuto effetti pesanti anche sugli approvvigionamenti. Allo stesso modo, le persone sono diventate più attente alla sostenibilità: l’emergenza climatica è un tema sentito da moltissimi, tanto che nel 2021 il 35% dei consumatori globali ha ridotto attivamente le proprie emissioni di carbonio. Probabilmente anche per queste due tendenze – trovare ciò che desideriamo e tutelare il pianeta – anche le fasce più grandi della popolazione si sono avvicinate al digitale. I consumatori over 60 stanno diventando a tutti gli effetti utenti di tecnologia avanzata e le soluzioni virtuali devono essere adattate alle esigenze anche di questo vasto target. 

Obiettivo benessere

I consumatori si concentrano sulla crescita personale e sul benessere, apportando cambiamenti radicali alla vita che riflettono i loro valori, passioni e scopi. Anche il metatarso sta entrano in gioco: gli ecosistemi digitali 3D immersivi iniziano a trasformare le connessioni sociali. Le vendite globali di accessori AR/VR sono cresciute del 56% dal 2017 al 2021, raggiungendo 2,6 miliardi di dollari lo scorso anno. Oltre al mondo virtuale, però, i consumatori amano anche il secondo hand e l’autenticità dei prodotti artigianali (e sostenibili), così come preferiscono traslocare per andare a vivere in contesti più sicuri, più puliti e più verdi. Più in generale, infine, l’autenticità, l’accettazione e l’inclusione sono i veri driver nelle scelte di vita e nelle abitudini di acquisto dei consumatori. Tutti elementi che saranno utili alle aziende per rimanere competitive sul mercato e rispondere ai bisogni di utenti sempre più esigenti e selettivi.

Il 60% delle aziende usa già l’Intelligenza Artificiale

Nonostante l’incertezza sul funzionamento dei processi decisionali dell’Intelligenza artificiale, e la preoccupazione sulle conseguenze delle sue azioni o omissioni, il 60% delle società a livello globale già la sta utilizzando. Secondo il sondaggio condotto online dallo studio legale Dentons alla fine del 2021, il 48% delle aziende è all’inizio del percorso di inserimento di sistemi basati sull’AI, e il 12% è early adopter della nuova tecnologia.
“Per l’Intelligenza artificiale è un momento di grande sviluppo – commenta l’avvocato Giangiacomo Olivi, Co-Head of Europe Data Privacy and Cybersecurity, Intellectual Property and Technology di Dentons -, che vede un numero sempre maggiore di imprese, in tutto il mondo, adottare questa tecnologia come parte integrante delle strategie di crescita del proprio business”.

Tra consapevolezza dei vantaggi e timore dei rischi

“Per utilizzare al meglio l’AI, con tutte le sue potenzialità, non ci si può fermare ai benefici immediati – spiega l’avvocato Olivi -: è necessario valutarne attentamente i rischi, affrontando e gestendo le problematiche che i sistemi intelligenti possono porre prima di tutto a livello di governance e compliance normativa, ma senza dimenticare l’aspetto etico”.
Il sondaggio ha infatti evidenziato la consapevolezza dei molti vantaggi che possono derivare dall’uso dell’AI, come, ad esempio, il risparmio di tempo dovuto all’automazione dei processi e la riduzione degli errori umani nelle attività di elaborazione dei dati. Al contempo, tale consapevolezza non ha ancora consentito di superare la preoccupazione sul rapporto tra l’AI e il trattamento dei dati personali, la responsabilità per le azioni e le omissioni compiute dai sistemi intelligenti, e più in generale, la normativa applicabile.

L’incertezza sui criteri di attribuzione della responsabilità

La maggioranza dei partecipanti al sondaggio è infatti preoccupata dall’incertezza sui criteri di attribuzione della responsabilità per le conseguenze che possono derivare dalle decisioni, ed eventuali omissioni, dei sistemi di AI (80%).
La tutela dei dati personali è un’esigenza di primaria importanza (81%), ma solo il 55% conferma di aver effettivamente implementato specifiche procedure interne di protezione dei dati. Oltre la metà degli intervistati (57%) dichiara poi di temere le discriminazioni che possono derivare dalle decisioni dei sistemi intelligenti.

In attesa di un intervento legislativo 

Nonostante la consapevolezza dei rischi connessi all’uso dei sistemi intelligenti, riferisce Adnkronos, solo il 19% delle società del panel ha già una strategia o segue una specifica roadmap per l’implementazione dell’AI, e sta adottando presidi per assicurarne una gestione conforme al contesto normativo attuale. Molte società infatti stanno attendendo che sia il legislatore ad attivarsi per l’adozione di disposizioni specificamente dedicate all’AI. In particolare, in materia di tutela dei dati personali (61%), protezione dei consumatori (52%), responsabilità penale (46%) e proprietà intellettuale (45%).
“Nell’attesa di interventi specifici dei legislatori – commenta Olivi -, per non perdere le opportunità offerte dall’intelligenza artificiale è necessario adottare da subito un approccio più consapevole, che non guardi solo agli obiettivi di business ma anche alle persone”.

Fine anno senza pericoli per salute e bilancia: i consigli degli esperti

Noi italiani amiamo festeggiare, ogni occasione è buona per ritrovarci insieme con amici e parenti e condividere a tavola le bontà della nostra tradizione gastronomica. Questo rito, inoltre, è particolarmente sentito durante le festività di Natale, Santo Stefano e Capodanno, dove si cucina come se non ci fosse un domani. Bene, anche quest’anno – in cui i ritrovi numerosi sono stati sconsigliati a causa dell’emergenza sanitaria – quasi nessuno ha voluto rinunciare al piacere di cucinare e mangiare le specialità delle ricorrenze. Meno commensali, quindi, ma non meno portate.

Le dritte salvalinea dei medici Aigo

Per festeggiare come si deve, ma senza però attentare alla linea e alla salute, ci sono i consigli di di AIGO – Associazione Italiana Gastroenterologi ed Endoscopisti Digestivi Ospedalieri, che indicano come concedersi le gioie delle convivalità senza doverle pagare sulla bilancia. Focus innanzitutto sull’alcol, ricco di zuccheri. Nessuno vieta il tradizionale brindisi, però bisogna ricordare che negli uomini la dose massima giornaliera è di 1-2 bicchieri di vino, mentre nelle donne di 1 bicchiere. Anche nei soggetti sani l’alcol può causare pure in dosi moderate sintomi da reflusso o bruciore, in presenza di patologia serve particolare prudenza. Il paziente con malattia di fegato non dovrebbe assumere bevande alcoliche, mentre il paziente con disturbi funzionali, come intestino irritabile, può concedersi un brindisi. La cosa più importante che spesso manca nelle tavole delle feste è l’acqua. Quindi, sì a un brindisi, ma uno solo!

Limitare grassi, zuccheri e “cattive” abitudini

Le ricette della tradizione sono buonissime, si sa. Ma sono spesso più ricche di grassi animali e zuccheri, elementi che possono favorire disturbi come cattiva digestione, gonfiore addominale, reflusso gastroesofageo, essendo difficilmente digeribili anche per le persone in buona salute. Senza demonizzare le nostre eccellenze gastronomiche, è bene tenere presente che in alcune persone con difficoltà nell’assorbimento del lattosio, prodotti caseari freschi, creme e intingoli possono favorire alcuni disturbi. Quindi, spazio anche a tante verdure sulla tavola e addio invece alle cattive abitudini, come ad esempio mangiare troppo velocemente, fumare tra una portata e l’altra o sdraiarsi sul divano subito dopo il pasto. Un po’ di movimento farà sicuramente bene alla salute e anche all’umore. No anche allo stress, compagno di molti in questi mesi difficili: pranzi più leggeri aiutano inoltre a non aggravarne gli effetti.

Mantenere un figlio da 0 a 18 anni costa in media 175.642,72 euro

Mantenere un figlio da 0 a 18 anni ha un costo medio pari a 175.642,72 euro, ma nel caso di una famiglia con alto reddito, ovvero oltre i 70 mila euro l’anno, la cifra lievita al record di 321.617,36 euro. Il costo poi è aumentato con la pandemia, e rispetto al 2018 l’incremento è dell’1,2%. Si tratta delle valutazioni che emergono dal rapporto dell’ONF – Osservatorio Nazionale Federconsumatori. Secondo l’associazione, la diminuzione delle spese relative ai trasporti, così come di quelle sostenute per le attività sportive e ludiche durante il periodo delle restrizioni, non è bastata ad ammortizzare l’aumento dei costi per l’abitazione e le utenze (+12% rispetto al 2018), né per l’alimentazione (+8% rispetto al 2018) o per l’educazione e la cura dei figli (+6% rispetto al 2018).

Rispetto al 2019 contrazione del reddito annuale dei nuclei familiari a -2,8%

La pandemia ha inoltre contribuito ad ampliare un fenomeno già in costante crescita, la diminuzione del reddito annuo delle famiglie italiane. Rispetto al 2019 si è registrata infatti una contrazione considerevole sia della spesa (-9%) sia del reddito annuale dei nuclei familiari (-2,8%), con esiti rovinosi per le famiglie, in particolar modo se monogenitoriali e appartenenti al primo quintile di reddito, ossia la fascia reddituale più bassa.

Il costo cresce in relazione alle fasce reddituali

A seconda del reddito, la spesa per crescere un figlio fino alla maggiore età varia infatti notevolmente. Una famiglia bi-genitoriale, la tipologia familiare presa a campione per l’indagine, con un reddito annuo di 22.500 euro per mantenere un figlio fino a 18 anni spende in media 118.234,15 euro. Per la stessa tipologia di famiglia, ma con un reddito medio (34.000 euro/anno) la spesa totale per crescere un figlio fino alla maggiore età aumenta fino a 175.642,72 euro. Per le famiglie ad alto reddito, ovvero oltre i 70.000 euro/anno, mantenere un figlio fino a 18 anni ha un costo medio di 321.617,36 euro.

Un figlio è un lusso che sempre meno italiani possono permettersi

Secondo Federconsumatori, come riprende Agi, “questi dati mettono in evidenza come, oggi più che mai, fare un figlio stia diventando un lusso riservato a pochi, che sempre meno italiani sono in grado di permettersi. Non stupisce che nel 2021, in Italia, si è registrato il minimo storico di nascite”.
Infatti, seppur rappresentino un passo in avanti, i bonus e le agevolazioni disposti dal Governo, come l’Assegno di natalità, il Bonus mamma domani, l’Assegno unico figli, e il Bonus asilo nido, non sono ancora sufficienti a invertire tale tendenza.
Ecco perché è necessario avviare politiche a tutela della famiglia, della natalità e soprattutto del lavoro, per garantire condizioni migliori alle famiglie, oggi costrette a continui sacrifici, e dare un nuovo impulso al ringiovanimento del Paese.