Industria tecnologica europea, nel 2021 investiti quasi 100 miliardi di dollari

Secondo il report annuale del venture capital Atomico, che dal 2015 rilascia la propria analisi sullo Stato della tecnologia in Europa, nell’intero 2021 sono quasi 100 i miliardi di dollari investiti nell’industria tecnologica europea. Con livelli di investimento ‘early-stage’ per la prima volta pari a quelli degli USA, e con un numero di nuovi unicorni in aumento, l’industria tecnologica europea sta crescendo più velocemente di quanto non facesse prima della pandemia, aumentando il proprio valore di 1 trilione di dollari soltanto nei primi 8 mesi del 2021. Ma quali sono le tendenze in campo tecnologico per questo primo anno di ‘next normal’?

Le start up non sono mai andate meglio

In Europa il numero totale di aziende tecnologiche che hanno scalato fino a 1 miliardo di dollari è salito da 223 nel 2020 a 321 nel 2021. I grandi round, oltre i 250 milioni di dollari, ora sono la norma, e sono cresciuti di 10 volte rispetto allo scorso anno, rappresentando il 40% del capitale totale investito. E le start up non sono mai andate meglio: l’Europa ha la sua pipeline ‘early stage’ più forte di sempre, con il 33% di tutto il capitale investito a livello globale in round fino a 5 milioni di dollari.
L’Europa diventa quindi la seconda regione a livello globale quando si tratta di investimenti, con un totale di 3,8 miliardi di dollari contro i 4,1 degli USA. 

Italia tra i primi 10 paesi per capitalizzazione

Nell’ultimo anno l’Europa ha visto aumentare di oltre 750 miliardi di dollari il valore del mercato tecnologico azionario, e attualmente si trova sopra i 2 trilioni di dollari. L’Italia ha raddoppiato la capitalizzazione del suo mercato tecnologico, toccando 26,6 miliardi entra di diritto nei i primi 10 paesi per capitalizzazione del mercato tecnologico.  Le IPO blockbuster poi stanno diventando la norma, e nel 2021 la più grande è quella della società rumena UiPath, che debutta a circa 35.6 miliardi di dollari dopo il giorno di apertura. Altre quotazioni pubbliche su larga scala sono state Auto1, Wise e Deliveroo, tutte con scambi sopra i 10 miliardi di dollari nel loro primo giorno.

Circa la metà dei nuovi fondi VC ha una politica ESG

Le aziende ‘purpose-driven’, riporta Agi, costruiscono un futuro sostenibile per tutti affrontando uno o più SDGs. Nei primi dieci paesi per numero di nuovi fondi circa la metà dei nuovi fondi VC raccolti nel 2021 hanno una politica ESG sul loro sito web. Il mercato tecnologico resta ancora indietro però sui temi della diversity. Le donne e le minoranze etniche hanno molte più difficoltà a raccogliere capitali rispetto agli uomini e alle persone bianche. Nonostante le dimostrazioni che i team misti e diversificati hanno prestazioni migliori, questi hanno ottenuto solo il 9% del capitale raccolto nel 2021.

Omnicanalità, cresce l’interesse delle aziende, ma la maturità è ancora limitata

Nell’ultimo anno l’interesse delle imprese italiane nei confronti dell’omnicanalità è aumentato notevolmente, ma solo circa un’azienda su cinque ha strutturato una ‘vista unica sul cliente’, che consenta di avere una reale conoscenza delle loro caratteristiche e dei loro interessi. La scarsa maturità delle aziende nell’approcciare l’omnicanalità si riflette anche sull’attività di Data Activation. Se un’azienda su tre giudica almeno buona la propria capacità di generare valore di business dai dati raccolti solo il 6% la ritiene ottima. Di fatto, portare avanti la trasformazione omnicanale, come evidenziato dalla quinta edizione dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, richiede di lavorare su quattro pilastri, Strategia, Organizzazione, Dati e Tecnologie.

I pilastri dell’omnicanalità

Una condizione necessaria per il successo di una trasformazione omnicanale è la presenza di una chiara strategia e di un forte commitment del top management in grado di guidare il cambiamento in maniera strutturata. Sebbene l’83% dei casi analizzati dichiari che il vertice aziendale risulti coinvolto nel monitoraggio delle iniziative, per metà delle aziende l’Omnichannel Customer Experience è una priorità strategica solo ‘a parole’: nei fatti mancano gli strumenti tecnologici e organizzativi per attuarla. Occorre poi lavorare sul terzo pilastro, quello relativo ai Dati, impostando una omnichannel data strategy e dotarsi delle opportune Tecnologie per raccogliere e gestire in maniera integrata i dati sui clienti. Così da valorizzarli in chiave di personalizzazione dell’esperienza cliente e miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dei processi di marketing, vendita e customer care. 

Il grado di maturità delle aziende

Incrociando la valutazione dell’approccio delle imprese a livello strategico-organizzativo e a livello di dati e tecnologie, emergono cinque diversi cluster che rappresentano il grado di maturità omnicanale delle aziende. Gli Omnichannel Master, il segmento omnicanale maggiormente evoluto, rappresentano il 9% delle aziende del campione, principalmente appartenenti ai settori Energy, Utility e Oil&Gas, Telco e Bancario e assicurativo. Il segmento degli Omnichannel Novice, rappresenta invece il 21%, soprattutto nei settori Industriale/B2b, Beni di largo consumo e Beni durevoli. Tra questi due estremi, si posizionano gli altri tre cluster, ciascuno con un’incidenza prossima al 25%: gli Omnichannel In-Progress, i Committed, e i Tactician.

L’impatto dell’OCE sui processi di gestione del cliente

I benefici di un approccio omnicanale si esplicano in maniera significativa all’interno dei processi aziendali deputati alla gestione del cliente. In particolare, Marketing e Comunicazione, Vendite e Customer Care. Il processo di Marketing e Comunicazione data-driven si compone di tre fasi principali: profilazione della customer base, content management e personalizzazione, e delivery delle iniziative, e per il processo di Vendita, lead management, personalizzazione dell’esperienza e attivazione di servizi omnicanale e di assistenza alla vendita. Per trasformare invece il processo di Customer Care, è necessario agire sulla progettazione di un processo integrato a livello di conoscenza e di canali di assistenza, e sull’adozione di opportune tecnologie e strumenti a supporto della fase di interazione con il cliente.

Perché far installare un depuratore d’acqua?

L’acqua potabile è un bene indispensabile e chiaramente una risorsa di cui tutti abbiamo bisogno nel corso bella giornata. In particolar modo quella destinata ad uso alimentare, ovvero quella che beviamo o che adoperiamo per la preparazione dei cibi, deve essere pura e libera da eventuali sostanze nocive o pericolose.

Ciò non sempre è vero, nel senso che la qualità dell’acqua che arriva al rubinetto di casa è influenzata da fattori quali calcare in eccesso, o altri elementi che possono rendere l’acqua più o meno dura e conferirle un sapore meno gradevole. La qualità dell’acqua che beviamo è importante soprattutto in presenza di calcoli renali, per i quali è necessario andare a bere un acqua che sia più leggera per evitare la loro formazione.

Vantaggi e svantaggi di un depuratore d’acqua

I vantaggi per i quali decidiamo di acquistare un depuratore d’acqua domestico non sono legati soltanto alla qualità dell’acqua, il che di per sé è già un buon motivo per adottare questo utile dispositivo, ma ce ne sono tanti altri che hanno un aspetto pratico e di convenienza economica non indifferente.

Pensiamo ad esempio alla fatica che facciamo ogni giorno per trasportare fino a casa le pesanti bottiglie dal supermercato. Ogni cassa d’acqua pesa in media una decina di kg, il che non è un peso indifferente. Consideriamo poi lo sforzo del doverle salire fino a casa e trasportarle fino al punto esatto del nostro appartamento in cui la conserviamo di solito.

Oltre alla fatica fisica c’è anche un aspetto chiaramente economico: un litro d’acqua minerale al supermercato costa in media 0,15€, mentre l’acqua che esce dal rubinetto a un costo medio per litro di 0,0015€.

C’è dunque una grande differenza in termini economici, e facendo i calcoli per quel che riguarda l’approvvigionamento annuale di acqua per consumi alimentari è facile scoprire che in questa maniera il risparmio può superare le €500 annue.

Ci sono anche degli svantaggi nel far installare in casa un depuratore d’acqua? Se vogliamo provare ad individuare uno svantaggio dell’adottare in casa un depuratore per l’acqua, questo potrebbe essere il costo iniziale, sebbene oggi anche il miglior depuratore acqua può essere acquistato con delle comode rate mensili che lo rendono facilmente accessibile a tutti.

Quale depuratore scegliere per casa?

In base alla qualità dell’acqua che attualmente arriva presso il rubinetto di casa è possibile scegliere il depuratore giusto. Al momento in commercio ne esistono di 4 tipi:

  • Depuratori ad osmosi inversa
  • Addolcitori
  • Filtri al carbone attivo
  • Sistemi di microfiltrazione

I depuratori a osmosi inversa sono i più utilizzati in casa. Essi presentano una membrana semipermeabile che ha la capacità di eliminare dall’acqua gli elementi presenti in eccesso e tra questi il sodio e i vari nitrati.

Gli addolcitori vengono invece preferiti laddove vi è una eccessiva presenza di calcare nell’acqua.

Essi hanno infatti il compito di diminuire la durezza dell’acqua e aggiungere del sodio. Fanno ciò tramite un particolare processo chimico che prevede uno scambio ionico.

I filtri al carbone attivo invece rappresentano un sistema in grado di rimuovere eventuali sostanze nocive come ad esempio il cloro. Questi filtri possono essere montati direttamente sul rubinetto e per questo richiedono meno tempo per l’installazione.

I sistemi di microfiltrazione sono dei filtri che hanno la capacità di rimuovere dall’acqua tutte le parti solide mediante una particolare membrana.

In breve

Dunque adesso disponi di tutte le informazioni per scegliere con cura il nuovo depuratore da acquistare per casa. Abbiamo capito che ci sono dei fattori legati alla praticità e alla convenienza economica, oltre ad innegabili benefici che riguardano la nostra salute. Ecco perché sempre più famiglie decidono di far installare un depuratore d’acqua in casa.

Economia circolare: i consumatori chiedono più impegno alle aziende

Comprare prodotti durevoli, riciclabili o fatti con materiali riciclati, e utilizzarli a lungo attraverso manutenzioni e riparazioni efficaci. Questi sono i comportamenti ‘circolari’ dei consumatori sostenibili. Per le aziende significa invece sviluppare prodotti e modelli di business che non producano rifiuti, ridurre l’uso di materie prime e prevedere la restituzione o il recupero di prodotti e imballaggi.
Insomma, le aziende devono adottare modelli di economia circolare per soddisfare le richieste dei consumatori, e mitigare i rischi futuri legati alla supply chain. Contrariamente al modello economico lineare l’economia circolare è infatti rigenerativa, e mira a separare gradualmente la crescita dal consumo di risorse finite.

Cresce il desiderio di un consumo consapevole

Con l’aumento della consapevolezza sul tema dei rifiuti e dell’esaurimento delle risorse cresce il desiderio da parte dei consumatori di adottare pratiche di consumo consapevole. Secondo il rapporto del Capgemini Research Institute, ‘Circular economy for a sustainable future: How organizations can empower consumers and transition to a circular economy’, il 54% dei consumatori vuole adottare pratiche come ridurre i consumi complessivi, acquistare prodotti più durevoli (72%) e conservare e riparare i prodotti per aumentarne la durata (70%).  Tuttavia, quasi il 50% è convinto che le organizzazioni non stiano facendo abbastanza, mentre il 67% si aspetta che le organizzazioni siano maggiormente responsabili quando pubblicizzano i prodotti, senza incoraggiarne un consumo eccessivo.

Le organizzazioni faticano ad adottare azioni concrete

Le organizzazioni faticano però a intraprendere azioni concrete legate a pratiche di economia circolare, malgrado i consumatori si rivolgano sempre di più a quelle che lo fanno. Questo accade in particolare in ambiti dove la consapevolezza dei consumatori è maggiore, come i rifiuti alimentari e quelli di plastica. Il 44% dei consumatori ha infatti aumentato la propria spesa negli ultimi 12 mesi verso aziende alimentari che si impegnano nel riciclo, nel riutilizzo e nella riduzione dei rifiuti, ma in generale i consumatori sono limitati nelle loro scelte da questioni di praticità, accessibilità e costo.

I motivi che impediscono di intraprendere azioni circolari positive

Tra i motivi che impediscono di intraprendere azioni circolari positive, riferisce Adnkronos, il 60% dei consumatori cita la mancanza di informazioni sufficienti sulle etichette dei prodotti, per il 55% i costi elevati sono un ostacolo alla riparazione dei prodotti, e il 53% non vuole scendere a compromessi sulla comodità.Questa è una conseguenza del boom dell’e-commerce degli ultimi 10 anni, che ha alzato gli standard offrendo servizi convenienti a basso costo, come la consegna il giorno successivo o addirittura il giorno stesso. Nonostante gli sforzi normativi per estendere la durata di vita dei prodotti, attualmente gli approcci di consumo circolare si concentrano principalmente sulla fase post-utilizzo, con il 58% dei consumatori che dichiara di separare e smaltire i rifiuti alimentari dopo l’uso, ma solo il 41% di comprare cibo con un imballaggio minimo, sottolineando la scarsità di opzioni disponibili.

Monopattini elettici: uno su tre è assicurato

Il DL infrastrutture recentemente approvato ha introdotto diverse novità per i monopattini elettrici, ma il Governo ha deciso di non inserire l’obbligo di assicurazione, lasciando l’imposizione solo per le società di noleggio. Infatti, uno degli emendamenti al DL prevedeva l’introduzione dell’obbligo di assicurazione e casco, nonché di targa da apporre al mezzo, ma la proposta è stata bocciata. Ma fra i possessori dei monopattini molti sono propensi a tutelarsi, tanto che come emerge dall’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat, quasi 1 conducente su 3 ha già acquistato una copertura assicurativa.

Chi non possiede il monopattino chiede misure più severe 

Curiosamente, la proposta trova maggiori consensi tra chi non possiede né usa questo mezzo. In particolare, il 76,8% è d’accordo con l’obbligo di casco, il 70,3% con l’assicurazione e il 56,1% con la targa. Quanto a chi invece ha un monopattino, solo il 50,9% è favorevole all’introduzione del casco obbligatorio, il 36,8% all’assicurazione e il 31,6% alla targa. Sul fronte assicurativo, il 17,3% ha una copertura per eventuali infortuni alla guida, mentre il 16% ha una polizza per danni a terzi. Inoltre, il 30,7% sta valutando di sottoscrivere una copertura, mentre 1 su 5 non è a conoscenza di questi prodotti.

Le infrastrutture stradali sono ancora inadeguate

Nonostante il crescente numero di monopattini in circolazione, a giudizio di chi si sposta con questo mezzo, le infrastrutture stradali sembrano ancora oggi inadeguate. Quasi 2 intervistati su 3 ritengono che gli spazi destinati all’uso del monopattino siano insufficienti e non adatti (64%), e la percentuale arriva addirittura al 71% al Sud e nelle Isole. Ma quanto sono diffusi i monopattini in Italia? Secondo l’indagine sono circa 2,5 milioni gli italiani che oggi lo utilizzano. Di questi, circa 1,9 milioni ne hanno uno di proprietà, mentre poco più di 600mila usano quelli a noleggio.

Il mezzo di trasporto ideale per raggiungere il luogo di lavoro

Il mezzo sembra aver conquistato tutti: uomini e donne lo usano in egual misura (7%), mentre quanto all’età del conducente è diffuso in modo particolare tra i giovani con età 25-34 anni e 18-24 anni. A livello territoriale, invece, il monopattino è utilizzato soprattutto tra i residenti nel Nord Ovest (9,6%), a fronte di una media nazionale pari al 7%. Una platea che nei prossimi anni potrebbe aumentare notevolmente, se si considera che 3,4 milioni di italiani hanno dichiarato di stare valutando la possibilità di acquistarne uno. Infatti il monopattino elettrico si sta consolidando sempre più come mezzo di trasporto per raggiungere il luogo di lavoro: oggi il 33% lo usa proprio per questa finalità, percentuale che arriva al 45% nei Comuni con oltre 100 mila abitanti.

Stranieri in azienda: nel rapporto Ipsos la “fotografia” italiana

Si intitola “Difficoltà ed opportunità d’inclusione degli stranieri in azienda” l’indagine Ipsos condotta per  l’UN Global Compact Network Italia, realtà con cui nel nostro Paese opera il Global Compact delle Nazioni Unite con un piano di lavoro tutto incentrato su sviluppo, sostenibilità e responsabilità d’impresa. Da poco presentato nel corso della 6° edizione dell’Italian Business & SDGs Annual Forum, l’appuntamento annuale dell’UN Global Compact Network Italia, il sondaggio evidenzia una realtà variegata e la grande importanza che riveste la leadership nel gestire e attribuire valore alla multiculturalità.

Il bisogno di manodopera la rincipale motivazione 

Innanzitutto, il rapporto Ipsos risponde alla domanda “perché”, cioè perché si assumono dipendenti stranieri. Secondo i dati raccolti, le principali motivazioni all’inserimento degli stranieri risultano essere la necessità di manodopera, ma anche una scelta dettata da un’autentica vision. Come dimostra il sondaggio, infatti, più del 70% delle aziende a proposito dell’assunzione di persone straniere considera maggiori le opportunità rispetto alle difficoltà dell’inserimento. Per quanto riguarda le diverse figure, più del 72% delle aziende ha almeno un dipendente straniero arrivato in Italia per motivi legati a scelte non forzate dalla necessità economica o di sicurezza personale, il 45% almeno un migrante e il 9% almeno un richiedente asilo o rifugiato politico. Ovviamente, niente ormai può prescindere dal Covid -19 e anche lo studio Ipsos ha indagato l’effetto della pandemia su questo tema così delicato. Ebbene, le notizie sono buone: almeno qui, non si evidenziano particolari scossoni. Infatti, per quanto riguarda l’impatto della pandemia, le aziende intervistate non rilevano una ripercussione negativa sul piano economico e psicologico da parte degli stranieri se non in percentuali al di sotto del 5%. 

La leadership è fondamentale per l’inclusività

Il ruolo della leadership è decisivo per l’inclusività per più del 50% delle aziende. Una quota simile, inoltre, sostiene che siano proprio i manager a vedere valore nella multiculturalità.  Numeri alla mano, è poco più di 1 azienda su 3 ad avere un programma di responsabilità sociale di impresa. Questi programmi sono relativi alla multiculturalità in azienda nel 29% casi, mentre prevalgono nettamente la sostenibilità ambientale (82%) e il benessere dei lavoratori (63%). Nel complesso, i dati della ricerca Ipsos evidenziano che le aziende Global Compact che si mostrano più impegnate nell’inclusione degli stranieri presentano anche una maggiore frequenza di programmi e iniziative di vario tipo spinte anche da programmi di responsabilità sociale di impresa più diffusi. Una più spiccata attenzione all’inclusività e il maggiore sviluppo di programmi dedicati porta inoltre, come conseguenza, una più forte consapevolezza delle difficoltà e dei limiti, oltre che una maggiore autocritica.

Il 2021 è l’anno della Cloud Transformation, un mercato da 3,84 miliardi di euro

Da quanto emerge dall’undicesima edizione dell’Osservatorio Cloud Transformation, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, il 2021 è l’anno delle grandi occasioni per il mercato del Cloud in Italia. Se la spesa Cloud continua a crescere è trainata non più dai servizi SaaS (Software as a Service), ma da quelli PaaS (Platform as a Service), che riguardano più nello specifico la modernizzazione applicativa, l’orchestrazione e la gestione dei sistemi informativi, e dai servizi IaaS (Infrastructure as a Service). Tuttavia, il 34% delle imprese non ha ancora accompagnato questo percorso tecnologico con azioni di cambiamento organizzativo, come l’arricchimento delle competenze del personale, il potenziamento della struttura organizzativa con specialisti nelle tecnologie Cloud, o la revisione dei processi aziendali coinvolti.

Quanto vale la spesa per la ‘nuvola’?

Il Public & Hybrid Cloud, ovvero l’insieme dei servizi forniti da provider esterni e l’interconnessione tra Cloud pubblici e privati, si conferma ancora la componente principale della spesa (2,39 miliardi, +19%). In particolare, proprio all’interno del Public & Hybrid Cloud, i servizi PaaS registrano la dinamica di crescita più robusta, raggiungendo il valore di 390 milioni (+31%), e si confermano un layer tecnologico abilitante non solo per lo sviluppo del nuovo, ma anche per la modernizzazione applicativa, l’orchestrazione e la gestione del sistema informativo. Seguono lo IaaS (+23%, per un totale di 898 milioni di euro), e il SaaS che, con oltre 1,1 miliardi, pur rimanendo la componente più rilevante, dopo il boom del 2020 vede un fisiologico rallentamento del tasso di crescita (+13%). 

Rinnovata consapevolezza sulla rilevanza strategica del digitale

Quanto alle scelte progettuali e all’evoluzione dei sistemi informativi, l’adozione del Cloud nelle grandi imprese italiane è un dato di fatto e il portafoglio applicativo aziendale risulta erogato da ambienti eterogenei. Mediamente, il 44% del parco applicativo è oggi gestito in Cloud pubblico o privato, numeri ormai vicini a sorpassare la quota gestita on-premises. L’emergenza sanitaria ha generato nelle imprese una rinnovata consapevolezza sulla rilevanza strategica del digitale: il 67% degli attori della filiera digitale ha introdotto nuovi servizi all’interno della propria offerta, poi confermati a regime nel portafoglio d’offerta nella quasi totalità dei casi.

Strategie Hybrid e Multi Cloud sempre più diffuse nelle grandi imprese italiane

Le strategie Hybrid e Multi Cloud sono sempre più diffuse nelle grandi imprese italiane, che oggi fanno riferimento mediamente a 5 Cloud provider per l’erogazione dei propri servizi, in crescita rispetto ai 4 del 2020. Si tratta di ambienti integrati, ma non ancora pronti a un’orchestrazione dinamica delle risorse. Dopo una prima fase di adozione del Cloud finalizzata a migrare le applicazioni con minor impatto possibile sul business, le grandi imprese stanno oggi iniziando ad affrontare progetti più complessi, che non trovano un’adeguata risposta nell’offerta di mercato di soluzioni standard. Lo dimostra l’interesse crescente verso le strategie di migrazione orientate alla riprogettazione applicativa e verso le architetture Cloud Native, utilizzate come standard per tutti i nuovi progetti nel 15% dei casi.

Rapporto Noi doniamo 2021: la propensione al dono durante la pandemia

Il Rapporto Noi doniamo 2021 dell’Istituto Italiano della Donazione (IID) misura le pratiche e la propensione al dono degli italiani utilizzando diverse fonti, tra cui le ricerche BVA Doxa Italiani Solidali, e il Tracker settimanale condotto fin dal primo lockdown del marzo 2020. Il 2020 è stato un banco di prova inedito per misurare la propensione al dono degli italiani. Per tale ragione la quarta edizione del rapporto riproduce un’immagine profondamente segnata dalla situazione. Infatti, come emerge dai dati BVA Doxa, la generosità degli italiani nel 2020 ha visto un incremento complessivo dovuto all’emergenza sanitaria e alle iniziative volte a contenerla, ma l’emergenza stessa ha provocato un drenaggio importante di risorse economiche dalle cause classiche per cui gli italiani hanno sempre donato.

Nel 2020 meno occasioni dove esercitare forme di solidarietà informali

Nel 2020 la quota di cittadini che hanno effettuato donazioni informali, ovvero non passando tramite una associazione, come donazioni alla Messa, elemosina per strada, raccolte informali a carattere religioso e non, donazioni per la scuola e altro, registra un calo rilevante, passando dal 41% del 2019 al 33% del 2020. Ciò è dovuto sicuramente alla minore densità di occasioni dove esercitare tale forma di solidarietà, prima di tutto la Messa, proprio a seguito dell’emergenza sanitaria.

ONP, l’impatto Covid ha determinato un calo di risorse economiche

Anche sul fronte delle donazioni alle ONP il monitoraggio di BVA Doxa registra un calo: nel 2020 la percentuale di donatori risulta pari al 21% degli italiani, contro il 26% del 2019 e il 28% del 2018. Se, come emerso dal Tracker settimanale Doxa, complessivamente circa un italiano su 3 ha donato per l’emergenza sanitaria tra marzo e aprile 2020, allo stesso tempo non ha effettuato alcuna donazione per un’organizzazione non profit nel corso dell’anno. È un dato importante perché rappresenta la stima di coloro che a causa della pandemia hanno fatto mancare il proprio sostegno alle ONP, che hanno subito e stanno subendo l’impatto dell’emergenza in termini di mancate risorse economiche.

Volontariato e donazioni biologiche messe alla prova dalla pandemia

Anche la donazione di tempo e capacità, il volontariato, è stata messa alla prova dalla pandemia. I lockdown più o meno restrittivi hanno impattato fortemente sulla possibilità stessa di fare volontariato da parte degli italiani. Secondo l’indagine AVQ Istat la quota di coloro che hanno svolto attività gratuite in associazioni è calata dal 9,8% al 9,2%. Anche sul fronte delle donazioni biologiche l’impatto della pandemia è stato preoccupante. Secondo i dati forniti dal Centro nazionale sangue, il numero di coloro che hanno donato il sangue nel 2020 è calato del 3,4% rispetto al 2019, e la quota di nuovi donatori è diminuita del 2%. Complesso anche l’impatto della pandemia sulle donazioni di organi e midollo, e si è registrato anche un lieve calo dei consensi alla donazione degli organi sui rinnovi dei documenti di identità.

Curriculum vitae, vietato sbagliare: ecco cosa inserire e cosa evitare

Il curriculum vitae è il nostro primo biglietto da visita quando vogliamo approcciare un’azienda, un responsabile delle risorse umane o un cacciatore di teste se vogliamo trovare o cambiare lavoro. In sintesi, si tratta di un documento importantissimo, che può fare la differenza fra l’ottenere un colloquio e una potenziale assunzione o invece finire cestinato. Per questo è vietato sbagliare: ecco i consigli degli esperti di InfoJobs, la piattaforma specializzata nella ricerca di lavoro online, per non farsi cogliere impreparati all’appuntamento con un possibile cambio vita professionale. La prima dritta, che può sembrare banale, è quella di averlo, il cv: innanzitutto va redatto e poi periodicamente aggiornato, seguendo qualche facile indicazione per poter emergere in fase di selezione. 

Gli elementi da valorizzare…

I responsabili delle risorse umane sono attenti anche ai dettagli. Prima di tutto, nel cv perfetto vanno inserite in modo analitico tutte le esperienze maturate, anche quelle parallele al lavoro: si sta frequentando un corso? Si svolge un’attività nel tempo libero che ci ha fatto sviluppare competenze relazionali? Ecco, vanno inserite. Allo stesso modo, andrebbero evidenziate le hard e soft skills, a maggior ragione se corrispondono alle richieste dell’offerta. E’ sempre opportuno dare il giusto valore anche al lavoro che si vorrebbe lasciare, descrivendo noi stessi in quel ruolo e il valore aggiunto che abbiamo portato. Infine, la lettera di accompagnamento va preparata con cura, al fine di valorizzarci e di farci conoscere, inserendo ciò che non trova spazio nel cv ma potrebbe essere prezioso per il selezionatore.

… e quelli da evitare

Ci sono poi degli aspetti che non andrebbero inseriti, oppure “ribaltati” a nostro favore. Ad esempio se nel nostro percorso lavorativo c’è un vuoto temporale, questo andrebbe riempito con le altre attività che abbiamo svolto in quel periodo. Per emergere fra la massa dei candidati, inoltre, il cv non dovrebbe essere standard, bensì personalizzato a seconda dell’interlocutore, in modo da adattare la descrizione di esperienze e competenze in base al ruolo per il quale ci si propone. Bocciato senza appello anche un linguaggio prolisso, così come uno eccessivamente sintetico: diciamo quello che serve in maniera chiara e completa, cercando di essere specifici ma comprensibili. No anche all’autocelebrazione e sopratutto no a espressioni gergali o a inglesismi inutili: il nostro modo di scrivere è importante e deve servire a presentarci nel modo migliore. Infine, occorre tenere bene a mente l’obiettivo, che è riuscire a farci scegliere! 

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